Nel libro Il gioco del tarocco (1783) di Antoine Court de Gébelin, i tarocchi sono il liber mundi che narra la creazione del cosmo e dell’uomo: tutto ciò che avviene nel macrocosmo dell’universo e nel microcosmo della personalità umana è contenuto entro le figure geroglifiche dei tarocchi. Molti esponenti dell’occultismo, che si sviluppò in Europa nel tardo medioevo, concordano con il fatto che la sequenza degli arcani maggiori disegna un ideale tragitto iniziatico scandito in 22 tappe, un percorso di formazione che muove da stati involutivi di de-integrazione e che procede verso mete evolutive di re-integrazione.
Da un punto di vista psicologico questa concezione costituisce un parallelo col “processo di individuazione” junghiano, cosicchè esplorare le figure dei tarocchi diviene un modo immaginativo per indagare i nodi archetipici che plasmano la singolarità di ogni individuo. Sulla “rota magica” dei tarocchi le singole immagini costituiscono una totalità unitaria e rappresentano le singole componenti della totalità psichica. Attraverso un gioco di interazioni reciproche e un sussseguirsi di passaggi trasformativi, nei loro simboli si configurano gli snodi evolutivi dell’esistenza umana.
“I tarocchi in origine – osserva Jung – nascono come ordinarie carte da gioco, il re, la regina, il cavaliere, l’asso ecc… e inoltre, ci sono ventidue carte con simboli o raffigurazioni di situazioni simboliche (per esempio, il simbolo del sole o il simbolo dell’uomo appeso per i piedi, o la torre colpita dal fulmine, o la ruota della fortuna, e così via). Queste sono una sorta di idee archetipiche, di natura differenziata, che si mescolano ai componenti ordinari del flusso dell’inconscio, e perciò adatte ad un metodo intuitivo, che ha lo scopo di comprendere il flusso della vita e forse anche predire eventi futuri, eventi che si presentano alla lettura delle condizioni del momento presente. É in un certo qual modo da considerarsi come analogo all’I Ching, il metodo divinatorio cinese che permette quanto meno una lettura della condizione presente. Vedete, l’uomo sempre ha sentito la necessità di trovare un accesso attraverso l’inconscio al significato di una condizione presente, perché c’è una sorta di corrispondenza o somiglianza fra la condizione prevalente e la condizione dell’inconscio collettivo.”
La sincronicità di Jung, ovvero la simultaneità di un certo stato psichico con uno o più eventi esterni che paiono parallelamente significativi, sembra la migliore premessa teorica su cui dare un senso alle pratiche oracolari. Nello specifico della lettura divinatoria dei tarocchi, si ipotizza che le figure degli arcani formino un’unità psicoide con eventi fisici corrispondenti; si tirano poi a sorte delle carte e si desume che queste costituiscano un parallelo significativo con una situazione oggettiva. Requisito importante per la sincronicità è che la lettura dei tarocchi non sia vissuta con leggerezza d’animo ma rappresenti per il consultante un’esperienza intensa e significativa. “I metodi oracolari – scrive Jung – devono la loro efficacia sostanzialmente a questa connessione con l’emotività….l’interrogare meccanicamente o frequentemente l’oracolo non preserva la connessione con l’emotività e non introduce necessariamente a esperienze di sincronicità.”
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