Numeri e divino nella filosofia di Pitagora

Pitagora di Samo nacque nei primi anni del sesto secolo avanti Cristo, quello del risveglio spirituale, di cui vide la fine poiché si racconta che visse almeno ottanta anni. In questa lunga vita accumulò, nell’espressione usata da Empedocle, “tutto ciò che contengono dieci o anche venti generazioni umane”. Figlio di un orefice-gioielliere di nome Mnesarco, ebbe due maestri: l’ateo e rivoluzionario Anassimandro, il quale affermava che la Terra è sospesa nello spazio perché non ha alcuna direzione privilegiata da seguire, e il mistico Perekyde, che insegnava la trasmigrazione delle anime. Probabilmente viaggiò a lungo in Asia Minore e in Egitto, fino a stabilirsi attorno ai trent’anni a Crotone, dove fondò una confraternita che era un ordine religioso e al tempo stesso un’accademia scientifica. In breve si fece di lui un semi dio, figlio dell’Apollo iperboreo, l’unico in grado di discendere nell’Ade, far miracoli e conversare con animali e demoni.

L’essenza e la forza della visione pitagorica del mondo era il suo carattere comprensivo e unificante. In essa tutte le parti componenti, religione e scienza, matematica e musica, medicina e cosmologia, corpo e anima, si incatenavano per giungere a una sintesi ispirata e luminosa. Pitagora diceva che tutto è numero, che Dio è numero, in quanto comune denominatore di tutte le parti di cui l’universo è composto. Il numero non andava pensato come semplice cifra ma appariva dotato di forma, e tra queste forme-numeri si scoprì che esistevano rapporti inaspettati e meravigliosi. Ad esempio la serie dei numeri quadrati si otteneva semplicemente dall’aggiunta dei numeri dispari successivi: 1+3=4; 4+5=9; 9+7=16; 16+9=25 ecc…allo stesso modo si potevano ottenere numeri cubici e numeri piramidali.

 

Pitagora in gioventù aveva senz’altro visto i cristalli del padre orefice, le cui forme imitavano quelle dei numeri puri (il quarzo la piramide e la doppia piramide, il berillio l’esagono, la granata il dodecaedro). Tutto ciò mostrava che era possibile ridurre il reale a serie di rapporti numerici, a condizione di conoscere le regole del gioco. Esempio di magia dei numeri è anche il famoso teorema che porta il suo nome, e che afferma che la somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti di un triangolo rettangolo è pari all’area del quadrato costruita sull’ipotenusa. I numeri non erano stati gettati a caso nel mondo, decidendo non solo la forma di oggetti ma anche determinando le regole dell’armonia musicale. Stabilendo infatti che l’altezza di una nota dipende dalla lunghezza della corda che la produce e che gli intervalli armonici sono prodotti da rapporti numerici semplici (ottava 2:1, quinta 3:2, quarta 4:3, ecc…), i pitagorici facevano una scoperta decisiva: era la prima volta che si riusciva a ridurre la qualità-rapporto alla quantità-suono, il primo passo verso la matematizzazione dell’esperienza umana e, di conseguenza, l’inizio della scienza.

“La matematizzazione dell’esperienza – dice Arthur Koestler nel libro I Sonnambuli – trasferiva ai numeri il diritto di sacralità, giacchè in essi potevano essere viste le idee più pure, disincarnate ed eteree; e quindi la musica, sposando i numeri, non poteva che nobilitarsi. L’exstasis emotiva e religiosa attinta nella musica veniva canalizzata dall’adepto in un’extasis intellettuale per mezzo della contemplazione della divina danza dei numeri. Le grossolane corde della lira rivelano la loro importanza secondaria e possono essere di materiali diversi, di varia lunghezza e spessore, purchè siano mantenute le proporzioni: quel che diviene musica sono i rapporti numerici. Questi rapporti sono eterni, mentre tutto il resto è deperibile; essi sono di natura spirituale, non materiale; permettono le più sorprendenti operazioni mentali, le più deliziose, senza che si debba far riferimento alla volgarità del mondo esterno dei sensi, ed è in questo modo che si deve ritenere che operi lo spirito divino. La contemplazione estatica delle forme geometriche e delle leggi matematiche è quindi il mezzo più efficace di purgare l’anima dalla sue passioni terrestri, il principale vincolo tra l’uomo e la divinità.”

La linea che univa la musica ai numeri divenne così l’asse del sistema pitagorico, prolungato successivamente in due direzioni distinte: verso il binomio corpo-anima dell’uomo e verso le stelle. Relativamente alla prima si trova scritto “che i pitagorici impiegavano la medicina per purgare il corpo e la musica per purgare l’anima”. In effetti una delle più antiche forme di psicoterapia consisteva nell’indurre il paziente, per mezzo di tamburi e di pifferi, a danzare fino alla frenesia e all’esaurimento, per cadere in trance in un sonno riparatore (versione ancestrale del trattamento di shock, della terapeutica reattiva e, per certi aspetti, della bioenergetica). Misure così violente, tuttavia, venivano prese solo quando le corde psichiche del malato erano scordate, allentate o troppo tese. Ciò deve essere inteso in senso letterale, poiché i pitagorici consideravano il corpo come uno strumento musicale, in cui ogni corda doveva avere la giusta tensione e il dovuto equilibrio.

Prolungata fino alle stelle, la dottrina pitagorica divenne l’Armonia delle Sfere. Nell’universo pitagorico il Sole, la Luna e i pianeti, girando in cerchi concentrici attorno alla Terra sferica, producono nell’aria un ronzio musicale; ogni pianeta sprigiona una nota diversa, la quale dipende dal rapporto tra la sua orbita e quella di un pianeta vicino, esattamente come una nota della lira dipende dalla lunghezza delle sue corde. Il mondo di Pitagora assomiglia così a una lira dalle corde circolari che suona per l’eternità. Secondo la tradizione il Maestro aveva il dono di sentire realmente la musica delle sfere, mentre i semplici mortali ne erano privati, perché costituiti da una stoffa troppo grossolana. Nell’Arcadia di Milton troviamo espresso in meravigliosi versi il sogno pitagorico di un concerto cosmico:

ma nel cuore della notte quando il sonno

ha chiuso i sensi mortali, allora ascolto

l’armonia delle celesti Sirene…

un potere così dolce abita la musica

che culla le figlie del Fato

e mantiene l’instabile Natura nella sua legge,

e muove in misura questo basso mondo,

al ritmo dei suoni celesti che nessuno intende

tra i vili umani dall’impuro udito…

     Nessuno prima dei pitagorici aveva pensato che i rapporti matematici contenessero i rapporti dell’Universo. Cento anni più tardi tale insegnamento fu la fonte ispirata del platonismo, che penetrò in maniera così determinante nella grande corrente del pensiero europeo. Anche un certo Johann Kepler, alla fine del XVI secolo, s’invaghì del sogno di Pitagora, e su quel fondamento di fantasia, per mezzo di ragionamenti anche azzardati, si mise a costruire il solido edificio dell’astronomia moderna.

Cristiano Ronaldo in fuga per l’eternità

Le imprese sportive hanno da sempre acceso l’entusiasmo di intere nazioni e stimolato la fantasia di generazioni in uno spirito di emulazione paragonabile ad un sogno. Quanti, fra coloro che hanno avuto in un pallone il gioco preferito dell’infanzia, hanno accarezzato l’emozione dei calciatori che sbucano dal tunnel degli spogliatoi e che entrano accolti dal boato di uno stadio? E’ lo stesso tipo di emozione che prova il toreador nella corrida, o che ha provato in passato il gladiatore nell’arena, un’emozione che scaturisce dalla sensazione di un comune mortale nel sentirsi eroe invincibile ed esempio per il suo popolo.

Gli eroi hanno, di fatto, sostituito le divinità in ogni cultura nella storia millenaria delle civiltà. Lo Zeus dei Greci, immortale e cui tutto era permesso per diritto divino, ha assunto le sembianze del condottiero degli eserciti e, più di recente nell’era moderna, quelle del dittatore e del capo di stato. Ancor oggi chiamiamo “eroi” i divi del cinema, della musica e dello sport. I loro volti e le loro gesta diventano fotogrammi indelebili e immortali della nostra memoria, e come i miti o le fiabe, non possono e non devono cambiare nella nostra mente.

Martedì sera, subito dopo lo spettacolare e incredibile gol in rovesciata di Cristiano Ronaldo, eroe del calcio moderno, c’è stato qualche secondo di assoluto silenzio. Anche il tempo è sembrato fermarsi, assieme ai tifosi dello stadio, il miliardo di telespettatori sparsi nel mondo e Ronaldo stesso, tutti stupiti e incantati da quella meravigliosa mirabilia tecnica al limite del sovrumano. La rovesciata nel calcio evoca un sovvertimento dell’ordine naturale delle cose. E’ anormale, fuori dall’ordinario, si prende beffa dei semplici mortali, sfida e sovverte il comune pensare e agire. E’ irridente anche delle regole stesse di un gioco di squadra come il calcio, ridicolizza le statistiche del numero di passaggi consecutivi, le percentuali del possesso palla, mette in secondo piano le classifiche e gli albi d’oro.

“Ci si ricorda di Maradona o Pelé – ha detto l’argentino Jorge Valdano, campione di calcio degli anni Settanta – perché nella mente si ha un’immagine, un’azione, un gol, e per noi, per tutta la vita, il calcio sarà quel momento.” E così, anche la perla di bellezza che Ronaldo ci ha regalato l’altra sera, sarà “quel momento”, che godrà di immortalità eterna, un gesto da tramandare ai posteri e da raccontare ai nostri figli, il solo capace di rimanere nell’album dei nostri ricordi e di accendere la passione per lo sport più popolare del mondo.

I cronisti sportivi avranno commentato il gol di Ronaldo descrivendolo da cineteca. E destino vuole che nel film “Fuga per la vittoria”, in una partita tra Alleati e Nazisti, il calciatore più forte del mondo, allora il brasiliano Pelé, entra in campo negli ultimi minuti nonostante un braccio rotto e decide da solo la partita, suggellando un’azione solitaria con una rovesciata praticamente identica a quella del portoghese ed effettuata dalla stessa zona di campo.

Come non ricordare infine un’altra fuga leggendaria dello sport, quella nella terzultima tappa del giro d’Italia del 1949, la Cuneo-Pinerolo. Il giornalista Mario Ferretti apriva la sua radiocronaca con una frase che farà epoca: “Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”. Il campionissimo percorrerà in fuga solitaria 192 chilometri, nonostante un vantaggio in classifica rispetto al secondo, l’eterno rivale Bartali, di 23’47”. Ma l’eroe, nello sport e nella storia, non fa calcoli e non ama le statistiche, perché la sua immortale invincibilità è sprezzante col tempo, i numeri e le faccende terrene. Il suo habitat naturale è il cielo, “dove osano le aquile”, diventato anche titolo di un romanzo e di un film. E l’aquila, guarda caso, era il simbolo di Zeus re del cielo. Quello stesso cielo, nella cui immensità osavano addentrarsi solo le cime imbiancate di cinque colli alpini, fu l’unico testimone del Coppi leggendario, soprannominato l’airone dai suoi tifosi. E in quello stesso cielo, al minuto 64 della partita Juve Real di martedì sera, Cristiano Ronaldo è volato per colpire di piede un pallone a due metri e trentotto da terra, là dove solo agli audaci della storia è permesso di osare, là dove solo ai campioni dell’eternità è permesso di volare.