Non si pensi che la scelta di un territorio su cui fondare le città delle culture millenarie, né tantomeno la fissazione del momento in cui farlo, siano circostanze frutto del caso. Viene per esempio da chiedersi perché le mappe di tre città antiche quali Gerusalemme, La Mecca e Roma siano caratterizzate dalla presenza di sette colli. E’ noto che il numero sette veniva investito di valenze particolari nell’esoterismo antico, ma esiste qualcosa di ancor più specifico che vale la pena di esaminare.
Va innanzitutto detto che gli astri più visibili in cielo – come le Pleiadi, le stelle dell’Orsa Maggiore e Minore – si dispongono spesso a gruppi di sette. Ed è anche per questo che nelle versioni esoteriche dei tarocchi, le Stelle (diciassettesimo degli arcani maggiori) è connotato dalla presenza di sette stelle e una stella più grande, raffigurante probabilmente il sole. Si ricordi inoltre che il motto di Ermete Trismegisto “come in alto così in basso” stabiliva una legge di corrispondenza analogica tra le cose in cielo e quelle in terra, cosicché ci sono validi motivi per credere che i sette colli delle città sante dovessero replicare in terra, in qualche modo, la dislocazione in cielo delle Pleiadi, le famose Sette Sorelle della volta celeste, le stelle sicuramente più note fin dai tempi antichissimi.
Per quanto concerne Roma, una testimonianza scritta della corrispondenza tra i sette colli e le sette Pleiadi la si trova nel libro V dei Fasti di Ovidio, dove il poeta latino fa dire a una delle muse i segreti sulla fondazione della città eterna. In particolare, si narra che la stella Maia – la più centrale e luminosa della costellazione e la cui controparte, sul piano speculare terrestre, sarebbe rappresentata dal colle Palatino, su cui Romolo fondò Roma – fosse la misteriosa divinità tutelare e protettrice di Roma, il cui nome andava rigorosamente tenuto segreto. E la segretezza del suo nome era indotta dal fatto che, per non esporre la città al rischio di attacco nemico, nessuno avrebbe dovuto sapere di questa connessione della stella Maia con la fondazione, che naturalmente si sarebbe rivelato come prezioso indizio della corrispondenza tra i colli, le Pleiadi e la mappa geografica dell’urbe. Si racconta, a proposito, che nell’82 a. C. il tribuno Valerio Sorano sarebbe stato condannato a morte proprio per aver trasgredito questo divieto. La medesima sorte sarebbe toccata anche a Ovidio, ma pare che la pena di morte del poeta fu tramutata in esilio dall’imperatore Augusto. Certo è che la tentazione di rivelare l’arcano su Maia e Roma fu irresistibile per l’abruzzese e giovane provinciale Ovidio, nato a Sulmona, città collocata ai piedi della Maiella e da sempre consacrata alla dea Maia (da cui deriva anche il suo nome).
Ma oltre alla corrispondenza spaziale tra le Pleiadi e i sette colli, vi è anche una coincidenza temporale astrologica che pochi sanno. I fondatori di Roma non potevano infatti non conoscere il calendario mesopotamico, dove la data del 21 aprile fissava l’inizio del secondo segno zodiacale, corrispondente alla costellazione del Toro, e che, non a caso, è l’unica a contenere le 7 Pleiadi.