L’arte di amare

Nel 1956 lo psicologo Erich Fromm scrisse L’arte di amare, un compendio di consigli per esercitare al meglio, in una società capitalistica orientata in quegli anni verso un crescente consumismo, una delle pratiche più importanti ma anche più difficili. Uno dei punti focali della sua analisi è la distinzione tra amore dipendente e amore indipendente, conseguenza diretta di un’altra polarità importante, e cioè quella tra bisogno di integrarsi con l’altro – inteso come singola persona o collettività più ampia – e necessità di valorizzare una diversità del proprio essere, autonoma e distaccata dal partner o dai suoi simili sociali.

    L’amore dipendente nasce essenzialmente da un’ansia di solitudine, la quale, più o meno indirettamente, segue dal timore o dall’incapacità di non riuscire a dar voce alla propria diversità nel rapporto con gli altri. Da qui il bisogno di fusione simbiotica col partner o con la società, che può variare da un vivere conformista alla dipendenza da alcolici e da sostanze stupefacenti, fino a diventare l’amore malato e distorto del sadomasochismo. In tutti questi casi, l’Io, non distinguendosi e non valorizzandosi come entità autosufficiente, necessita di un’amplificazione nell’altro-singolo o nelle tendenze comportamentali di tipo sociale per poter sopravvivere. Un’altra importante caratteristica dell’amore dipendente è quella di un legame speculare tra il dare e il ricevere, che genera ad esempio l’amore interessato e opportunistico, e dal quale si aspetta sempre qualcosa in cambio. E’ un amore simile ad uno scambio commerciale, che Erich Fromm vede come naturale conseguenza di una società orientata verso il consumismo, in cui l’avere prevale sempre sull’essere, così come l’immagine che fingiamo di noi stessi per essere apprezzati dagli altri è più importante del vero sé interiore. Può succedere, peraltro, sempre in una logica di interscambio tra dare e ricevere, che si abbia il timore o l’odio per l’altro sesso – come avviene nei casi di impotenza e di frigidità – dove alla paura inibita, più o meno consapevole, di concedersi all’altro corrisponde la sicurezza di non dover ricevere nulla in cambio.

    Secondo Fromm, invece, l’amore sano è quello che dà senza aspettarsi nulla in cambio, conseguenza di un’azione volontaria e attiva dell’essere. Ma è maturo e sano anche l’amore indipendente, che si fa unione a due a condizione di preservare le singole individualità. Egli dice espressamente: “L’amore è un potere attivo dell’essere umano, che annulla le pareti che lo separano dai suoi simili, che gli fa superare il senso di isolamento e di separazione, e tuttavia gli permette di essere se stesso e di conservare la propria integrità. Sembra un paradosso, ma nell’amore due esseri diventano uno, e tuttavia restano due…L’amore è possibile solo se due persone comunicano tra loro dal profondo del loro essere, vale a dire se ognuna delle due sente se stessa dal centro del proprio essere. Solo in questa esperienza profonda è la realtà umana, solo là è la vita, solo là è la base per l’amore. L’amore, sentito così, è una sfida continua; non è un punto fermo, ma un insieme vivo, movimentato; anche se c’è armonia o conflitto, gioia o tristezza, tutto è d’importanza secondaria dinanzi alla realtà fondamentale che due persone sentono se stesse nell’unione, che sono un unico essere solo essendo un unico con se stesse anziché sfuggire da se stesse.”

    L’unione di due amori indipendenti diventa, in tal modo, un’opportunità che permette di conoscersi meglio nel riflesso dell’altro. Come diceva anche Carl Gustav Jung, l’amore è principalmente proiezione psichica del nostro genere opposto sul partner di cui ci innamoriamo, ovverossia, di un lato inconscio di noi stessi che si manifesta, al di là del volere cosciente, attraverso la dinamica relazionale. Ed è per questo motivo che l’innamoramento per il partner è un riflesso di un innamoramento verso noi stessi, giacché la persona prescelta ha sempre a che vedere con la nostra interiorità. Non si confonda, però, l’amore indipendente, col quale conoscere il proprio sé attraverso la proiezione relazionale, con il narcisismo. Nel mito, infatti, Narciso viene punito all’innamoramento della propria immagine, perché prima ha respinto l’amore della ninfa Eco in quanto troppo più bello di lei. Allo stesso modo, i narcisisti stentano a riconoscere l’amore come proiezione psicologica tra due persone, perché questo li esporrebbe al pericolo di una temuta autosvalutazione, dato che nel riflesso dell’altro emergono sempre i lati meno gradevoli della personalità. Ciò spiega, ad esempio, perché i narcisisti sono particolarmente sensibili alle bugie del partner, poiché non possono accettare l’emergere di un lato oscuro della loro personalità – l’essere bugiardi appunto – che minerebbe la loro autoglorificazione.     L’arte di amare, allora, oltreché essere un donare disinteressato svincolato da quanto si riceve, deve porsi come prezioso strumento di conoscenza interiore. Il vero amore, cioè, è quello in sintonia con l’oracolo dell’antica Delfi, dove troneggiava la scritta “conosci te stesso”. Solo così l’amore non è più dipendenza nevrotica dall’altro o paura del lato oscuro dell’inconscio personale, ma diventa un’esperienza psicologica fondamentale e vitale, un amore verso se stessi con il quale riconoscere, rispettare e liberare la parte più intima della personalità, che cerca di farsi strada sin dalla nascita e che oppone resistenza durante tutta l’esistenza aai condizionamenti familiari e sociali.