Addio Euclide

All’inizio del Novecento alcuni matematici concepirono oggetti ottenuti con la tecnica dell’aggiunta o della rimozione di un numero infinito di parti. Una di tali forme è il “tappeto di Sierpinski”. Per formarlo si prende l’avvio da un quadrato, lo si divide in nove parti uguali (tre per tre) e si toglie il quadrato centrale; poi si ripete l’operazione sugli otto quadrati restanti, lasciando un quadrato vuoto al centro di cascuno di essi (per proseguire così indefinitamente).

L’analogo tridimensionale è la spugna di Menger

Una variante è quella con i triangoli equilateri invece dei quadrati (nota anche come piramide di Sierpinski), a cui Gustave Eiffel si ispirò per costruire il simbolo di Parigi. Questo modello matematico gli permetteva così di togliere peso senza togliere resistenza strutturale alla sua opera architettonica.

 

E’ interessante osservare che tali figure hanno sempre area o volume uguale a zero (potendo ripetere la rimozione delle parti all’infinito) ma mantengono l’impalcatura geometrica iniziale da cui si è partiti (quadrato, cubo o piramide nei casi precedentemente illustrati). La caratteristica essenziale di queste forme geometriche “bucherellate” è quindi di continuare ad occupare il medesimo spazio delle figure che le hanno originate pur essendo di area o volume notevolmente ridotti. Si può dire, in sostanza, che queste nuove geometrie hanno la prerogativa essenziale (potremmo definirla anche capacità o efficienza) di occupare spazio nel modo più leggero possibile (essendo di area o volume ridotti quasi a zero).

La loro dimensione non è più quella euclidea tradizionale (uno, due o tre) ma frazionaria (dimensione di Mandelbrot o di Hausdorff-Besicovitch). Nel caso per esempio del tappeto di Sierpinski, visto che ci sono i buchi nel quadrato, la dimensione sarà un po’ meno di due (cioè quella del piano che contiene il quadrato senza buchi) ma comunque più di uno, dal momento che occupa più spazio del lato del quadrato (che è di dimensione uno). Per correttezza professionale aggiungo che la dimensione del tappeto di Sierpinski è log8/log3, circa 1,89 (mentre nel caso dei triangoli equilateri è log3/log2, circa 1,585)

 

Dedicato a quelli del Cancro

Canone cancrizzante è un’opera di Escher, famoso grafico e incisore olandese, il cui stile inconfondibile era quello di raffigurare nel medesimo contesto prospettive surreali e contrastanti (scale e cascate che sembrano scendere ma anche salire, figure che si compenetrano con i loro sfondi, ecc..). Il granchio di Escher avanza e indietreggia allo stesso tempo, cosa che ci ricorda lo strano e goffo andamento del crostaceo in natura. Il titolo dell’opera si ricollega al canone cancrizzante (o inverso) di Bach nell’Offerta Musicale, in cui il tema può essere letto da capo a fine o viceversa, come se si riflettesse allo specchio.

 

Lo stesso avviene nella disposizione cosiddetta “palindrica”dei due filamenti del DNA nel granchio, dove la sequenza dei codici genetici assume una struttura del tutto speculare.

Questa ambiguità tra avanzamento e indietreggiamento è una delle principali caratteristiche del quarto segno dello zodiaco, il Cancro. Potremmo anche definirla come tendenza alla regressione vitale, e nessuno più dei nativi di questo segno è sedotto da quello che in psicologia è noto come richiamo dell’utero materno, che nell’infanzia si trasforma in legami fusionali con la madre e più tardi negli anni diventa complesso materno più o meno accentuato. “Cerca la madre, troverai il Cancro” (o viceversa) potrebbe essere la sintesi estrema per definire questo segno. Regressione all’utero significa in pratica “vivere molto di più il passato che il presente”. Ricordi, nostalgie, relazioni idealizzate e poi vanamente inseguite, legami a schemi familiari, compulsività verso il cibo e ogni bisogno primario (surrogati del seno materno), ecco il mondo dei Cancro, popolato dai fantasmi dell’infanzia e dell’adolescenza, quando l’amore incondizionato della madre era l’unico insostituibile e non poteva essere messo in discussione. Non solo il passato, ma anche il futuro può condizionare e deformare la vita di questi esseri così teneri e sensibili. L’immaginato, l’irreale (o surreale), le fantasie, i voli pindarici, i sogni (un altro motto potrebbe essere “sognerà la sua vita se non può vivere il suo sogno”), insomma tutto pur di evitare la rude e prevedibile realtà o il noioso tran tran della quotidianità.

Consigli per sconfiggere questa inguaribile tentazione di “immaginare la vita”, che in concreto diventa una “pigrizia del fare” e che alla lunga può trasformarsi in “paralisi dell’agire” o, ancor peggio, “paura di vivere”?  Non rimandate mai a un domani imprecisato le cose che dovete fare nell’immediato, rendete attiva e proficua la vostra immaginazione, portate a termine i vostri progetti, viaggiate molto in Paesi stranieri e lontani (per rendervi conto che la casa e la famiglia sono solo mondi che vi limitano), godetevi la quotidianità con la cura e l’attenzione del vostro corpo, con la contemplazione dei suoi tramonti e dei chiari di luna che si riflettono sul mare notturno, gustatevi i buoni vini e i cibi che vi cucina la vostra partner (se li fate voi ancora meglio, ma purchè non corriate ancora a casa da vostra madre a mangiare, poichè convinti che “come lei non cucina nessuno”). In ogni caso, come suggeriva il poeta latino Orazio con il suo “carpe diem”, vivete nel presente e non nel passato o nel futuro. Ma ricordate sempre la parola “coraggio”, che letteralmente significa anche “agire col cuore”. E voi di cuore ne avete tanto, ma non sprecatelo nei labirinti della vostra mente.

Roberto Daris (nato l’8 luglio)

Desiderio di amare o di apparire?

Secondo un’indagine svolta su 1.479 giovani fra i 14 e i 24 anni nel Regno Unito, è emerso che Instagram, nota piattaforma di condivisione foto e video, sarebbe la peggiore in termini di effetti sulla salute mentale e sul benessere psicologico. E’ altresì contraddittorio rilevare che la stessa Instagram abbia raccolto punteggi elevati in termini di promozione della propria identità ma negativi per quanto riguarda ansia e depressione.
Ciò però non dovrebbe più di tanto stupire gli psicologi, ai quali è noto che una caratteristica peculiare del disturbo narcisistico è la rapida e discrepante alternanza tra percezione grandiosa e miserevole di sé. E’ per tale motivo che l’ostentazione di un’immagine volta ad impressionare l’altro, esibendo caratteristiche reali o simulate (fotoshoppate) che incontrino conferme esterne del proprio valore, alla fine va a controbilanciare i valori bassi di stima personale e le ferite narcisistiche derivanti da una non considerazione di se stessi.


L’ipervalutazione dell’immagine e la sovradipendenza dall’ammirazione hanno trovato un humus ideale nel costume collettivo del selfie, con la conseguente quantità di immagini che vengono postate, condivise e girate. L’importanza dei like riflette poi la necessità del “bisogno di piacere agli altri”, e ciò è significativo del trend narcisistico che caratterizza la psiche collettiva contemporanea, in una civiltà che si autodefinisce dell’immagine e dà all’immagine la possibilità di un uso esasperato e distorto di sè.
Gli psicologi sanno anche che chi vuole essere ammirato dal generico ed indistinto occhio dell’Altro, non fa che sottrarsi al confronto e alla responsabilità della relazione singola. Il mito di Narciso, non a caso, ci insegna che il narcisista è refrattario al contatto ravvicinato, e questo indipendentemente dalla bellezza e dall’attrazione che può esercitare. Narciso è strutturalmente incapace di amare e di vivere emozioni, e nulla più di una foto postata o di un tatuaggio che irride l’invecchiamento del corpo rispecchiano il suo cuore congelato.
La società moderna trascura pericolosamente la differenza tra godimento e desiderio, cosicchè il partecipare al “circo delle emozioni mediatiche”, che il cellulare o l’Ipad di ultima generazione sono in grado di garantirci, ci portano in fondo a rinunciare al desiderio del singolo altro (magari per temerne il rifiuto), per preferire invece una vita ipocritamente narcisista che si riduce alla ludica quotidianità del futile.

Dice Massimo Recalcati: “Le depressioni contemporanee non si producono più per un venir meno dell’oggetto d’amore ma da un eccesso di presenza dell’oggetto di godimento. Sono depressioni da confort, da routine, depressioni che scaturiscono all’apice maniacale del divertissement. Ma il loro fondamento sta nell’isolamento autistico, che sembra annullare
ogni iato tra l’essere e il sembiante, consolidando piuttosto l’essere del soggetto nell’identità senza divisioni di una maschera sociale che sembra cancellare la singolarità del desiderio”.