E’ affascinante constatare che a 300 anni esatti dalla sua nascita Giacomo Casanova rimanga un mito tanto attuale quanto insuperabile di seduzione maschile. E’ lecito peraltro chiedersi se dietro quell’arte seduttiva, ai limiti di una ripetibilità seriale quasi ossessiva, si nascondesse qualche crepa caratteriale dell’amante par excellence. I trattati di psicologia insegnano che un eccesso comportamentale, specie se ripetitivo, è spesso una compensazione inconscia di una carenza psicologica di qualche tipo, la quale, prevalentemente, trae origine dall’infanzia.
Dobbiamo così risalire a Giovanna Maria Farussi, bellissima attrice, che appena sedicenne sposa il comico Gaetano Casanova e che due anni dopo dà alla luce Giacomo. Madre assente e amante molto contesa nella Venezia di inizio Settecento, irresistibile anche per Michele Grimani, nobile patrizio proprietario di quattro teatri e, molto probabilmente, padre naturale del futuro seduttore di mezza Europa. Il padre legittimo, per di più, muore quando Giacomo ha nove anni, mentre quello naturale, guarda caso, si prenderà cura del figlio frutto dell’adulterio.
Potrà allora sembrare meno strano perché Giacomo Casanova mascherasse nell’allegria la propria tristezza. “Un povero bastardo pieno di ingegno che non riesce a realizzare nessuno dei suoi sogni”, così lo descrive Piero Chiara, il suo biografo più importante. Sempre la psicologia può suggerirci che dietro quella smania di conquista delle sue prede femminili vi fosse, in fondo, un’ossessiva ricerca di identità maschile virilizzata, che derivava di riflesso da una figura paterna dissolta nelle nebbie della laguna.
D’altro canto potremmo interpretare la sua fascinazione per il mondo aristocratico – e che si manifestava in una spasmodica ricerca di situazioni conviviali o sociali che lo facessero respirare aria di nobiltà – come la bramosa rivendicazione di un sangue blu che nessuno gli riconosceva. Per di più, quello stesso mondo elitario cui doveva appartenere per diritto genetico, alla fine, in un modo o nell’altro, lo ha sempre rifiutato e emarginato. In verità, nella vita di Casanova, ritroviamo due figure nobili che furono per lui dei padri adottivi: il primo è stato il patrizio Matteo Bragadin, salvato da un infarto all’uscita da un teatro proprio dal soccorso tempestivo del seduttore veneziano, che per questo gesto ricevette in cambio erudizione e protezione economica per moltissimi anni; il secondo fu il conte boemo di Waldstein, che gli affidò la gestione della biblioteca nel suo castello, luogo in cui Giacomo Casanova trascorrerà gli ultimi tredici anni della sua esistenza.

Ma quali erano i sogni irrealizzati di questo povero bastardo pieno di ingegno? Scrittore, giocatore d’azzardo, spadaccino, commediografo, violinista, spia, massone, matematico, cabalista, mago e alchimista; un caleidoscopio umano, e per ironia della sorte papà Gaetano arrotondava le sue finanze vendendo lenti poliedriche a sedici faccette romboidali in vetri di Murano. Di nuovo, la psicologia ci insegna che l’orientamento professionale di una persona può essere condizionato dal rapporto col padre e dall’esempio che egli può dare in termini di leadership e di realizzazione sociale. Ecco allora che la frammentata vocazione dell’amante seriale può essere spiegata da una completa mancanza di riferimento paterno.
Il suo sogno più grande è quello di raggiungere l’immortalità. Pensa di realizzarlo, come lui stesso dichiara, con la pubblicazione dell’Icosameron, un romanzo di fantascienza scritto in francese durante gli anni di solitudine nel castello di Dux in Boemia. In quello stesso periodo scrive le sue memorie, Histoire de ma vie, 3682 pagine di testo tradotte in varie lingue in ripetute edizioni di successo. Probabilmente, attanagliato dalla noia dopo una vita travagliata e piena di eccessi, scrive la sua biografia per rinnovare i piaceri del passato e sentire ancora le palpitazioni di un cuore ormai logoro e stanco, ma sempre fedele testimone di quel sangue blu il quale, un po’ beffardo, gli fece desiderare e accarezzare una nobiltà che alla fine non l’ha mai accolto nei suoi ranghi. L’immortalità Casanova, a dir il vero, l’ha raggiunta paradossalmente proprio grazie al padre da sempre rinnegato, ereditando un cognome che dopo trecento anni e per l’eternità rimarrà sinonimo di amante e seduttore irresistibile.