Il pianto del bambino interiore nella civiltà patriarcale

Lo psicologo cileno Claudio Naranjo, candidato al premio Nobel per la Pace, denuncia in una recente intervista la crisi del patriarcato nella società moderna, delineando le cause che l’hanno generata e proponendo alcune soluzioni per evitare di collassare insieme ad essa.

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Storicamente il patriarcato, o almeno la concezione più comune che abbiamo di esso, nasce come denuncia da parte delle femministe di uno sciovinismo maschile, che in sintesi è stata l’ingiustizia degli uomini nel sottovalutare e sfruttare le donne. In verità Naranjo ci mette in guardia dai pericoli derivati dal patriarcato, e che si sono nel tempo radicati nella società. Il dominio maschile, infatti, ha avuto ripercussioni nocive per tutti, uomini e donne indistintamente. Se la donna è sottovalutata conseguentemente la madre, e con essa la maternità, è sottovalutata. E se la maternità non ha più importanza, anche i bambini soffrono nel sentire la madre che non vale. E se la madre non vale anche il bambino si sente non valere. La sottovalutazione del materno si può estendere poi in ognuno di noi in quello che gli psicologi chiamano bambino interiore ferito, e che a sua volta schiaccia lo spirito di ozio e di gioco, alla base della creatività, della libertà mentale e di ogni forma contemplativa.

Il patriarcato non è dunque solo un dominio del maschile; in parte è autorità che si appoggia alle attività violente e prevaricanti, in parte è lo stato sociale e familiare nel quale c’è mancanza di maternità (cura, compassionevolezza) e, non ultimo, rifiuto della vita istintiva. “Quando c’è la guerra non si mangia molto e non si fa l’amore” dice scherzosamente Naranjo. Questa potrebbe essere una metafora di quel posticipare la natura istintiva e biologica, diventato purtroppo uno stato cronico della civiltà moderna. Ciò non fa che ispirare una morale anticarnale, ossia quella specie di legislazione restrittiva e repressiva che si materializza in un’educazione non attenta al bisogno creativo dei giovani e, più in generale, alla felicità delle persone. Ma la carnalità dovrebbe intendersi come l’equivalente di ogni forma organizzativa del mondo animale e vegetale, ove si nasconde la saggezza della natura e della vita organica. Se la reprimiamo o, peggio ancora, ci diamo delle colpe di presunta malvagità perché distratti dai desideri naturali del corpo, ciò non fa che creare una tensione istintiva che ci fa cadere in uno stato di perenne ansia.

Il rifiuto dell’animalità, già denunciato da Freud all’inizio del Novcento, non è solo rifiuto del lato interiore, ma crea un’infelicità che deve essere sostituita con tutti i vizi e le passioni consumistiche. In altre parole, l’unica soluzione che ci dà l’illusione di completezza personale è il ricorso morboso e ripetitivo a forme edonistiche del vivere, come sembra oggi essere l’uso ossessivo dei cellulari e dei social network, unici strumenti in grado di trasferirci emozioni nell’immediato. Naturalmente una sessualità proibita fa nascere anche l’oscenità e la lussuria, tutte forme aberrate di una necessità istintiva rimossa e che invece può essere disponibile in modi più semplici e naturali.

C’è qualche speranza di cambiare qualcosa e di uscire da questa crisi a livello sociale? Naranjo denuncia esplicitamente la mancanza di una politica della consapevolezza. “In politica è entrata l’ecologia ma non l’educazione della consapevolezza e della conoscenza di sé. Oggi l’educazione è solo una forma di obbedienza; ci siamo dimenticati forse del famoso monito di Socrate conosci te stesso?.” L’educazione delle istituzioni scolastiche, assieme a quella che ci proviene dai messaggi quotidiani dei mass media, si esprime infatti in forma autoritaria, mostrandosi intenta piuttosto a reprimere o a imporre “dogmi” e “diktat” piuttosto che educare nel profondo.

In ogni vita individuale è nella morte dell’ego, con tutte le sue soluzioni infantili ed egoistiche, che sta la speranza della rinascita. Questo processo di morte-rinascita, che le leggende mitologiche chiamano il viaggio dell’eroe, può essere valido anche per la civiltà. La morte della civiltà può portare allora ad una rinascita rigenerazionale, così come si racconta anche nel mito bibblico del diluvio universale. Questo può avvenire unicamente se c’è consapevolezza degli errori commessi, per non ripetere così i fallimenti del passato. L’alternativa al patriarcato non è però il matriarcato, ma il raggiungimento di un’armonia interiore a livello individuale. Naranjo insiste sul fatto che la nostra urgenza è nel far coesistere all’interno di noi una “famiglia psicologica”, composta da padre (intelletto, razionalità), madre (emozioni, compassionevolezza) e figlio (istinto, creatività). E sarà solo una società che valorizza contemporaneamente questa trinità di valori che può avere la possibilità di sopravvivere più a lungo.

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